Solo “0,35% dell’umanità in grado di programmare queste macchine”
Roma, 22 ago. (askanews) – “La prima vera grande rivoluzione e la prima vera grande cyberdifesa di questo spazio digitale” e delle sfide aperte con l’intelligenza artificiale “è l’educazione e l’impegno educativo: è una cosa fondamentale. Se noi non trasmettiamo le competenze alle generazioni successive, le generazioni successive ne saranno sprovviste”. Così padre Paolo Benanti, docente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, esperto di bioetica, etica delle tecnologie e human adaptation, membro del New Artificial Intelligence Advisory Board dell’ONU, presidente commissione per l’Intelligenza Artificiale, intervenendo al Meeting di Rimini al panel “L’essenza dell’intelligenza artificiale. Strumento o limite per la libertà?”.
“Nel mondo vivono oggi – ha ricordato – 8,1 miliardi di persone e più di 6 milardi ha un cellulare, quindi il 75% utilizza una macchina programmabile”, ma “in questo momento ci sono 27,6 milioni di persone in grado di programmare queste macchine. Significa che il 99,65% dell’umanità è analfabeta: se noi diamo questo potere allo 0,35% dell’umanità stiamo creando una diseguaglianza enorme, con una piccolissima frazione di persone, che sono i nuovi sacerdoti di questa nuova capacità di far accadere le cose, ed escludendo tutti gli altri”.
“L’intelligenza artificiale abiterà nella nostra quotidinanità” e “la dinamizzazione di tutti i nostri device ci deve far interrogare su come garantire una sicurezza che è intergenerazionale, un accesso alla democrazioa intergenerazionale con l’educazione, ma soprattutto che è una capacità di costruire quei guardrail fondamentali per evitare che queste macchine così utili vadano fuori strada. Noi siamo la generazione che deve decidere di questo”, ha concluso padre Benanti.